UNA MOZZARELLA DI BUFALA DI 70 GIORNI È ANCORA COMMESTIBILE? DIPENDE DAL METODO DI CONSERVAZIONE.
Nel passato le mozzarelle di bufala si conservavano nella pasta di caciocavallo.
Abbiamo provato a far rivivere quella tecnica non foss’altro per vedere quale evoluzione avrebbero avuto due formaggi costretti a maturare insieme con un grado di umidità molto diversa. Il risultato è veramente molto interessante.
di Roberto Rubino
Sulla stagionatura dei formaggi spesso abbiamo un approccio un po’ manicheo: i formaggi molli e freschi si mangiano subito, quelli più duri si degustano al meglio dopo lunghe stagionature.
Non c’è via di mezzo: la mozzarella e la ricotta devono essere di giornata; i molli, la crescenza, lo stracchino, la robiola, al massimo una decina di giorni, mentre per i grana si parla di anni di stagionatura; guai a chiedersi quale potrebbe essere il momento ottimale.
Come ho già riportato in un precedente articolo (La mozzarella deve essere di giornata. Ma siamo sicuri?), nel corso della quarantena, accidentalmente ho avuto modo di verificare che il flavour della mozzarella di bufala aumentava con il passare dei giorni perché, per precauzione, ne avevo acquistato una quantità esagerata.
Mentre cercavo di capirne le motivazioni, mi è venuto spontaneo pensare: perché no!
In effetti, tutti i formaggi migliorano con il passare dei giorni, perché entra in azione la flora microbica e inizia il processo di lipolisi e di proteolisi.
E poi, a pensarci bene, storicamente le mozzarelle non potevano essere consumate in giornata, perché i trasporti non erano certo quelli di adesso.
Mi sono anzi ricordato di avere un paio di libri dell’’800 in cui si diceva che le mozzarelle, subito dopo la produzione, venivano messe in salamoia per un paio di giorni, poi avvolte nella pasta di caciocavallo e infine spedite ai clienti.
Inizialmente non ho molto riflettuto sul fatto che la mozzarella venisse rivestita di pasta di caciocavallo, anche perché la manteca si fa ancora così: il burro si avvolge nella pasta di caciocavallo e si può conservare anche per un anno.
Per me non era una novità.
Ho comunque mandato la pagina del libro sia ad Alessandro Costanzo (www.mozzarellacostanzo.com), il produttore di quelle mozzarelle e sia a Carlo Fiori, patron di Guffanti formaggi (www.guffantiformaggi.com) i quali subito hanno accarezzato con entusiasmo l’idea di provare questo antico metodo di conservazione della mozzarella di bufala.
Detto fatto, a fine aprile il caseificio Costanzo si è messo all’opera e, tutti insieme, dopo degustazioni effettuate via internet su campioni di diversa età e prodotti con diverse tecniche, abbiamo dato il nostro placet a questo nuovo(vecchio)formaggio.
Come nome abbiamo scelto Cheesella perché, visto che nella fase iniziale sarà venduto soprattutto all’estero, un nome che coniuga la parola inglese cheese con le ultime lettere della mozzarella richiama subito un prodotto che ha entrambe le due caratteristiche.
E così il caseificio Costanzo di Aversa ha avviato la produzione mentre Guffanti si occupa e preoccupa di farlo conoscere in giro per il mondo.
Io con questo articolo voglio ritornare sulla stagionatura di un formaggio che, questa volta, non è il prodotto di due latti miscelati bensì il prodotto di due latti tenuti separati.
Cosa succede quando due formaggi, che hanno più o meno la stessa struttura ma una carica aromatica e una percentuale di umidità molto diverse, fanno un tratto di strada insieme?
Ne avevo conservato in frigo una campionatura e così ho potuto mettere a confronto cheeselle di 7, 17, 40 e 70 giorni.
Naturalmente l’osservata speciale è stata la mozzarella di bufala, anche se il caciocavallo ha svolto un ruolo importante, quasi determinante e comunque anch’esso ha risentito della vicinanza della mozzarella.
Incominciamo dalla mozzarella di bufala.
Come ho scritto nel precedente articolo e come ho potuto verificare anche in questa occasione, il flavour di questo formaggio migliora e raggiunge il massimo intorno ai 10 giorni, pur conservando le caratteristiche tipiche di una mozzarella e cioè l’elasticità.
A mano a mano che si va avanti, la proteolisi prende il sopravvento, la struttura cessa di essere elastica e la mozzarella assomiglia sempre più ad un formaggio cremoso.
Comunque, nel corso della maturazione i due formaggi si sono influenzati a vicenda nella formazione sia della struttura e sia del flavour.
Al settantesimo giorno, l’intensità del flavour era al massimo e, come si può vedere dalla foto, si formano tre strati ben distinti.
Al centro, la mozzarella, che non è più bianca, perché i carotenoidi del caciocavallo hanno invaso tutta la pasta, ha una struttura pastosa e un gusto pieno, lungo, stemperato da una piacevole acidità di fondo.
Il caciocavallo invece si suddivide in due strati. Quello più esterno si asciuga e presenta una maturazione come da manuale (in questo caso stiamo parlando di latte di animali al pascolo), quindi gusto e aromi di erba.
Lo strato intermedio si presenta più umido, con un colore bruno chiaro e con un sapore che sorprende, più vicino ad una mozzarella matura ma asciutta, cremoso e con una leggera acidità.
Nel complesso un formaggio che non ti aspetti, maturo ma delicatamente acido, gusto pieno e cremoso e, soprattutto, una variabilità intensa con tonalità in continua oscillazione, perché i tre strati interagiscono e rilasciano note odorose e gustative diverse.
Al di là del successo che potrà avere la Cheesella, è interessante il percorso evolutivo di questo formaggio.
Normalmente quando si produce un formaggio con due latti di diverse specie, il risultato è una media fra i due, si ottiene un formaggio con caratteristiche intermedie; se invece i due latti vengono lavorati separatamente, si crea un unicum che va al di là della somma dei singoli, perché il loro effetto sinergico arricchisce tutti e due i formaggi e ne aumenta soprattutto la variabilità gustativa.