È venuto il momento di mettere a punto sistemi di coltivazione che permettano di esaltare gli aromi e il gusto della birra.
di Francesco Esposito designer della birra
La pandemia da covid-19 ha messo in ginocchio l’intera economia planetaria.
I sentimenti di altruismo, compassione ed empatia vacillano laddove siano già presenti elementi di contrasto e difficoltà oggettiva a gestire le situazioni interne ed esterne all’azienda.
Non ci sono segni di ripresa né una strategia chiara da perseguire.
In questo scenario, il panorama brassicolo italiano, e ovviamente non solo, vive una forte difficoltà ad immaginare il prossimo futuro, con l’estate che molto probabilmente in termini di flussi e consumi difficilmente ci sarà, le esportazioni al minimo e l’imminente crisi mondiale di cui ancora non si riescono a contemplare le conseguenze.
Un mondo che era nel pieno del suo boom, con oltre 1000 birrifici e beer firm, fiere di settore seguitissime, premi prestigiosi vinti a livello nazionale ed internazionale dai nostri birrifici, una creatività senza precedenti in termini di innovazione di nuovi stili, rivisitazione di stili antichi e talvolta dimenticati e il tentativo creare una filiera di qualità sulle materie prime prodotte in Italia grazie al Consorzio Birra Italiana promosso dalla Coldiretti con il supporto del vulcanico patron di Baladin Teo Musso.
Eppure, negli ultimi anni trascorsi come publican specializzato in birre artigianali, ho potuto toccare con mano un settore che in parte già presentava delle difficoltà su diversi aspetti e a cui un fenomeno esterno di tale portata poteva solo accentuare le esternalità negative.
Bottiglie rifermentate ed esplose nel frigorifero, prodotti ordinati e mai arrivati, distributori che conservano male le bottiglie, difficoltà nell’effettuare il reso della merce difettata, contratti di esclusiva inspiegabili con alcuni fornitori come se si avesse una produzione di chissà quale portata, microbirrifici che ti abbandonano ad agosto perché preferiscono la vetrina milanese rispetto a quella locale, scarsa capacità di presentazione del prodotto con brochure e gadget, poco supporto alle attività di degustazione e mi fermo qui, ma la lista potrebbe continuare.
Problemi riscontrati purtroppo anche con birrifici che hanno diverse referenze tra premi e guide.
Difficoltà che, ahimè, più raramente si incontrano con i prodotti esteri blasonati.
Ma se queste le possiamo considerare come delle conseguenze, quali sono i fattori scatenanti?
In poche parole penso si possa affermare che il settore non sia ancora del tutto maturo e che bisogna porre l’attenzione su tre aspetti in particolare:
- Materie prime. Il percorso iniziato dal Consorzio Birra Italiana è lodevole. I birrifici agricoli iniziano ad essere una realtà e possono segnare un cambio di paradigma importante. Inoltre, ora, il settore ha bisogno di aziende agricole specializzate in luppolo, orzo e grano e che puntino alla qualità della materia prima tramite metodi di coltivazione volti ad esaltare aromi, profumi e gusto e che siano, ovviamente, rispettosi dell’ambiente. Non solo, occorre che tali aziende effettuino anche la prima trasformazione di luppoli e malti con processi customizzati in base alle esigenze dei clienti.
- Filiera. L’attenzione al prodotto e al cliente sono centrali. La birra artigianale non è una commodity da stockare in attesa dell’ordine. In futuro credo che assisteremo a maggiori tentativi di vendita diretta.
- Tecnologia. Inteso certamente come impianti di produzione ma anche a tutto ciò che riguarda il 4.0 in generale. E’ un peccato che siano stati veramente pochi i birrifici a partecipare al bando dei Punti Impresa Digitale promosso da tutte le Camere di Commercio d’Italia sui finanziamenti a fondo perduto per la trasformazione digitale. Molto utili ai fini del marketing fondato sui big data, al controllo dei processi di produzione, al risparmio energetico etc.
Ognuno dei temi elencati meriterebbe un degno approfondimento. L’esplorazione di tutti gli aspetti produttivi e non, oggi, è fondamentale per immettere su un mercato sempre più competitivo prodotti buoni, distinguibili e con una storia da raccontare.
Soprattutto ora che stiamo attraversando una delle crisi sanitarie, economiche e sociali più grandi dal dopoguerra abbiamo bisogno di coraggio, innovazione e lungimiranza che agli italiani di certo non manca.