Le informazioni nutrizionali in etichetta? No grazie!

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di Roberto Rubino

È appena stata pubblicata la relazione della commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’uso di forme di espressione e presentazione supplementari della dichiarazione nutrizionale.” (cliccare sul link per consultare)

La presentazione di questa interessante relazione è dovuta al fatto che la Commissione deve presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’uso di forme di espressione e presentazione supplementari della dichiarazione nutrizionale, sul loro effetto sul mercato interno e sull’opportunità di armonizzare ulteriormente tali forme. In pratica, sappiamo che da una ventina d’anni si parla di informazioni nutrizionali da apporre sull’etichetta e sulla opportunità di aggiungere altre informazioni nella parte anteriore dell’imballaggio (front-of-pack, di seguito FOP).

Già molte nazioni hanno proceduto in ordine sparso con metodi diversi e la relazione ne fa un interessante sommario.

Gli estensori hanno provato anche ad esaminare i pregi e i difetti dei diversi FOP, ma non è su questo che io voglio e posso intervenire, anche perché la conclusione della relazione è che:

 “vista questa priorità strategica e visti gli elementi esposti e il potenziale dei sistemi FOP nell’orientare i consumatori verso scelte alimentari salutari, si ritiene opportuno introdurre un’etichettatura nutrizionale FOP armonizzata a livello dell’UE. La Commissione preparerà a tempo debito una proposta legislativa in linea con gli obiettivi della strategia “Dal produttore al consumatore” e con i principi del legiferare meglio”.

Abbiamo qualche anno di tempo per provare a cambiare, se non bloccare, un percorso che sembra arriverà a conclusione, anche se le idee non sono chiare.

Io quindi non entrerò nel merito dei diversi metodi attualmente in uso nel mondo, ma sull’opportunità di avere una etichetta con valori nutrizionali.

Ora, quando si sceglie un metodo di misurazione, occorre individuare i parametri da misurare e conoscere i fattori che ne determinano il relativo livello.

Quelli individuati da tutti riguardano: le calorie totali, i grassi, gli zuccheri e il sale.

Poi va scelta l’asticella da non superare altrimenti scatta il semaforo rosso, o la chiave della serratura nera, o l’etichetta rossa, tutti metodi questi in voga nel mondo.

Tutti hanno in comune lo stesso approccio: la materia prima è tutta uguale, non a caso di parla sempre al singolare: la carne rossa, la carne bianca, la pasta, il latte, il riso, i legumi, rigorosamente tutti diversi ma considerati tutti uguali.

Quindi, anche senza ancora scendere nei dettagli, con gli elementi che ritroviamo sull’etichetta, possiamo avere due alimenti che hanno le stesse informazioni nutrizionali, entrambi hanno il semaforo verde o rosso, ma il livello qualitativo fra i due è profondamente diverso: uno è al minimo livello e l’altro al massimo.

E meno male che stiamo parlando di informazioni nutrizionali. Dovremmo dare garanzie ai consumatori, invece gli diamo robaccia e la spacciamo per raccomandabile.

Provo a spiegarmi.

Prendiamo i grassi, i più bersagliati.

Per comprendere il livello di grossolanità di questo metodo prendiamo a paradigma il burro per un semplice motivo: tutti hanno lo stesso contenuto di grasso (82%).

burro giallo e biancoPer conoscere le calorie del burro basta moltiplicare per 9 la quantità di grasso totale quindi ogni burro avrà un contenuto di calorie pari a 738.

A queste si aggiungono poche altre calorie dovute alle proteine e ai carboidrati e, some si vede dalla foto, arriviamo a poco più: 750.

Ora prendiamo un pezzo di burro da latte di animali al pascolo ed uno da animali alla stalla; avremo due burri diversi nel colore e nella composizione chimica dei grassi e non solo.

Quello da stalla avrà un rapporto grassi saturi/insaturi che va da 70/30 al 80/20.

Quello da pascolo oscillerà intorno a 50/50 e anche meno; quindi saturi e insaturi si equivalgono, mentre nella stalla i saturi sono il triplo degli insaturi.

E i saturi, dicono che facciano male.

E, a prescindere dall’analisi chimica, ce ne accorgiamo perché il burro da pascolo è più morbido di quello da stalla perché i grassi insaturi sono meno solidi dei saturi.

Nel caso della foto, il rapporto saturi/insaturi è 66/44, quindi un burro di animali alla stalla che hanno mangiato un buon fieno.

Ancora, il rapporto omega6/omega3, che nel pascolo è sotto 1, nella stalla è da 10 a 15, non so se ce ne rendiamo conto, anche quindici volte superiore, che nel caso specifico, significa peggiore.

Ma il burro da pascolo è giallo grazie ai carotenoidi che, oltre ad avere una funzione antiossidante, contribuiscono all’aroma e al gusto.

Quello da stalla è bianco perché il loro contenuto è molto più basso.

E poi ci sono i polifenoli, responsabili del gusto ma studiati in tutto il mondo per le specifiche ed importanti funzioni antiossidanti, anticancro, ecc.

Anche in questo caso parliamo di differenze che possono anche essere di venti volte. Ma sugli antiossidanti si potrebbe innestare un’altra discussione che meriterebbe ben altro spazio e specializzazione.

Oggi i polifenoli sono fra i più pubblicizzati per le loro proprietà antiossidanti.

È vero? È sempre così?

Su una interessante review di Quideau e coll (2011), gli autori si pongono la domanda: i polifenoli sono antiossidanti protettivi o tossici proossidanti? rispondono: So here comes the dilemma! Bel dilemma! As often in science, the simplest answer to all of these related questions hides a great amount of complexity: “it depends!

Nella scienza la risposta semplice nasconde una grande complessità: dipende!

Quindi, persino quello che ci sembra scontato non tanto lo è.

E questo suggerisce cautela nel maneggiare gli indicatori nutrizionali.

E basterebbe guardare all’indietro e ricordare quando ci dicevano che l’olio d’oliva era da evitare in favore dell’olio di semi o quando c’era la corsa alla margarina osannata per le sue proprietà salutistiche.

Ma tornando al burro, quei due burri hanno lo stesso contenuto di grasso, di proteina (praticamente assente), di zucchero e di sale.

Avrebbero lo stesso colore di etichetta o di semaforo, ma sono profondamente diversi.

Sia dal punto di vista della complessità aromatica, dal punto di vista edonistico e sia dal punto di vista nutrizionale.

E le differenze possono essere anche di venti volte.

E noi consumatori, indottrinati dal semaforo o dal punteggio, paghiamo lo stesso prezzo due burri profondamente diversi.

E, naturalmente, il burro è solo un esempio, perché lo stesso si potrebbe dire per tutti gli altri prodotti.

E allora? Come la mettiamo?

Resto dell’idea che sull’etichetta meno c’è scritto e meglio è, come fa il mondo del vino. Sapendo che, parafrasando Socrate, quello che è buono è anche bello o meglio, quello che ha un alto livello qualitativo ha anche un alto valore nutrizionale.

 

Riferimenti bibliografici:

Quideau, D. Deffieux, C. Douat-Casassus, L. Pouységu (2011). Plant Polyphenols: Chemical Properties, Biological Activities, and Synthesis. Chem. Int. 50, 586–621