SMETTIAMOLA DI DARE AGLI ANIMALI FIENI SCADENTI!

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fieni di qualità

Per ottenere una carne ed un latte di elevato livello qualitativo il fieno deve essere di grande qualità. Come si ottiene e come valutarlo? Ritornano le pillole di scienza del team dell’Università di Napoli che sta lavorando attivamente su questo tema.

 di Federico Infascelli, Pietro Lombardi, Raffaella Tudisco e Nadia Musco

 Cosa si intende per fieni di buona qualità?

Secondo il pensiero comune, la qualità del fieno varia in funzione della specie foraggera e delle sue varietà, della fase di crescita della pianta, delle condizioni climatiche, della fertilizzazione del suolo e finalmente dei metodi di conservazione.

E il suo valore nutrizionale è quindi il risultato di tre fattori fondamentali:

  1. caratteristiche della specie affienata (le leguminose forniscono fieni più appetibili con maggiori contenuti proteici rispetto alle graminacee)
  2. tecnica di fienagione, ovvero operazioni meccaniche e relative attrezzature utilizzate;
  3. scelta del momento ottimale per lo sfalcio dell’erba: inizio fioritura per le leguminose, spigatura incipiente per le graminace, quando cioè si realizza la migliore sintesi tra digeribilità e valore energetico del foraggio con la quantità di sostanza secca ottenibile.

Quindi un fieno di leguminose, perché più proteico, è sempre migliore di uno di graminacee?

E nel confronto fieno monofita vs fieno polifita, il primo è migliore perché con meno infestanti e pertanto ben più standardizzata risulterà la sua composizione chimica?

Probabilmente questa è una visione riduttiva della questione. Siamo, infatti, dell’avviso che al fine di valutare la qualità del fieno, sia necessario prendere in considerazione anche altri parametri: colore, aroma, struttura, consistenza, ricchezza di foglie.

  • un fieno di buona qualità si presenta di un colore tendente al verde: l’ingiallimento è da attribuire alle piogge o, in ogni caso, ad una eccessiva permanenza in campo; un colore bruno è da imputare a riscaldamento con inevitabile diminuzione delle digeribilità e quindi del valore nutritivo;
  • per quanto concerne l’aroma, generalmente, maggiore è il numero di essenze più profumato sarà il fieno. Le molecole aromatiche sono soprattutto presenti nella parte verde, molto di più nelle foglie e meno nello stelo e diminuiscono mano a mano che la pianta va verso l’ingiallimento. Un fieno con sentore di marcio non va somministrato;
  • il fieno deve essere morbido e quanto più possibile foglioso, tenendo conto tuttavia che il rapporto steli/foglie dipende dall’essenza foraggera e dall’epoca di sfalcio: risulterà generalmente più foglioso se di prato stabile che di prato avvicendato; un fieno grossolano, con poche foglie e con steli lignificati testimonia un probabile ritardo nello sfalcio e/o notevoli perdite durante il processo di fienaggione.

Ma una valutazione corretta della qualità del fieno non può prescindere dalla interazione alimento/animale.

In particolare, nei ruminanti il soddisfacimento delle esigenze nutrizionali vuol dire considerare la presenza della microflora e della microfauna del rumine, entambe rappresentate da numerosissime specie, ciascuna con proprie preferenze per diversi substrati.

In altre parole, come ampiamente dimostrato da diversi studi scientifici, l’ottimizzazione delle loro sintesi si ottiene fornendo substrati diversi e quanto più possibile tra loro complementari.

È forse il caso di ri-valutare i fieni polifiti?

In merito, stiamo lavorando da qualche anno all’indice di metanogenicità del fieno, ovvero alla stima della potenziale produzione di metano da parte dei ruminanti in funzione di alcuni dei parametri su riportati così come della presenza di fattori comunemente definiti anti-nutrizionali.

È ben noto che la produzione di metano diminuisce l’efficienza di utilizzazione degli alimenti e può anche rappresentare un problema in termini di impatto ambientale.

È pertanto utile porsi l’obiettivo di una sua diminuzione nell’ambito di una sempre più richiesta sostenibilità dei sistemi di allevamento.

Non abbiamo ancora dati conclusivi, ma i risultati sinora ottenuti sembrano confortare l’ipotesi che probabilmente va rivisto il sistema di valutazione del fieno sulla base della sola composizione chimica e quindi della presenza di una sola essenza, anche di quelle considerate “migliori”.

Un buon fieno può, inoltre, migliorare le caratteristiche dietetico-nutrizionali del latte prodotto.

Se è noto, infatti, che per gli animali la maggior fonte di betacarotene e di acidi grassi della serie omega 3 è rappresentata dall’erba fresca, è dimostrato che una fienagione ben condotta limita fortemente la perdita di entrambi.

In altre parole, un buon fieno somministrato in quantità adeguate (almeno il 70% della razione) può bilanciare l’apporto degli acidi grassi della serie omega 6 fornito dalle granelle di cereali, sicchè anche il latte di animali non allevati al pascolo presenterà un rapporto omega 6/omega 3 ricadente nel range 2:1 – 4:1, ritenuto ottimale per la salute umana.

E per quanto riguarda il contenuto in vitamina E, esso sarà ancora a livelli tali da poter svolgere azione antiossidante il colesterolo.

Un buon fieno, infine, quando caratterizzato dalla presenza di più essenze foraggere, presenterà un profilo aromatico più ampio e pertanto anche le caratteristiche organolettiche del latte e dei suoi derivati ne risulteranno avvantaggiate.

In definitiva, scegliere o produrre fieni di buona qualità per la razione dei ruminanti significa rispettarne la fisiologia (ovvero garantire la corretta funzionalità del rumine), preservarne il benessere e di conseguenza ottenere da essi prodotti di elevato valore sia organolettico che nutrizionale.

Da quanto sopra, infine, non andrebbe trascurato il beneficio economico derivante dall’impiego di buon fieno che si traduce in un minor ricorso all’integrazione della razione con le granelle, la cui quotazione quasi mai legata alla qualità, risente fortemente delle oscillazioni del mercato.